Un caldo giorno d’estate, Tommy Brown uscì nei boschi per raccogliere fragole selvatiche.
Aveva con sé un buffo cestino fatto di carta verde e blu. Tutti i pezzi verdi e blu erano stati ritagliati in un numero uguale di striscioline e poi intrecciati a incrocio, formando un vaso. Per tutta la mattina, vagò, raccogliendo fragole e ascoltando il cinguettio degli uccelli, sentendosi molto felice.
Quando si era allontanato molto, guardò l’orologio e si rese conto che era quasi l’una.
“Oh cielo,” pensò, “devo tornare subito a casa.” Così si girò e ripercorse i suoi passi. Ma con suo grande disappunto, invece di trovare la strada che aveva preso, si trovo davanti a un fitto groviglio di alberi e cespugli che non aveva mai visto prima.
“Credo di essermi perso,” esclamò.
Ascoltò, sperando di sentire le campane della chiesa, così da orientarsi seguendo il loro suono, ma non udiva nulla tranne un leggero sussurro. Gli uccelli non cantavano più e si sedette su una grande pietra per ascoltare più attentamente.
Il suono sussurrante sembrava provenire da grande distanza, ma ascoltando con pazienza e trattenendo spesso il respiro, Tommy alla fine iniziò a distinguere le parole che il suono mormorava—infatti, era una frase semplice ripetuta più e più volte.
“Hitchy, hitchy, sotto il melo.”
All’inizio Tommy pensò che fossero alcuni bambini che parlavano tra loro, chiedendosi se potessero “hitch” come facevano a casa.
“Hitchy, hitchy, sotto il melo,” era tutto ciò che Tommy riuscì a sentire all’inizio. Ascoltò attentamente e finalmente percepì più delle parole—comprese anche qualcosa sul significato. Ogni volta che una voce pronunciava le parole “hitchy, hitchy,” ciascuna delle altre sembrava ripetere “pouchy,” così che a questa frase riguardo “hitching,” pareva esserci una risposta da altre voci riguardo “pouching.” E così l’intera frase suonava così:
“Hitchy, hitchy, sotto il melo. Pouchy, pouchy, sotto il melo.”
Tommy corse nel folto, e man mano che si avvicinava al suono, diventava sempre più forte, fino a quando, spostando la vegetazione, si fermò e guardò intorno a sé con meraviglia, perché si trovava in un grande spazio aperto di prato coperto di erba alta e margherite, proprio come un bambino che era caduto addormentato su un prato e si era risvegliato improvvisamente nel Paese delle Fiabe.
Non lontano si trovava un grande melo, e attorno ad esso sedevano minuscole cavallette verdi, coleotteri verdi e formiche nere—oh, moltissime! Erano tutte intente a danzare in allegri vestitini di vari colori—rossi e blu, gialli e marroni, e sembravano così felici, correndo qua e là con le loro lunghe gambe e ali. Erano così felici che anche Tommy si sentì felice, e deliziato di essere lì. Iniziò a danzare e cantare e a battere le mani, ma nel momento in cui lo fece ogni insetto fuggì via, volò via, corse via, o saltò via, in tutta fretta, mentre l’albero di mele, che era anziano e saggio, mormorava:
“Hitchy, hitchy, sotto il melo.”
“Cosa dici?” chiese una voce roca sopra la sua testa, e guardando in alto, la sorpresa di Tommy raddoppiò, perché vide che era il tronco dell’albero di mele stesso a parlare.
“Per favore, Signor Melo, puoi dirmi la strada per Londra?” chiese Tommy Brown, molto cortesemente.
“Oh, è così lontano. Devi hitchy, hitchy e pouchy, pouchy per arrivarci,” mormorò l’albero.
“Ma devo conoscere la strada subito, perché voglio tornare a casa immediatamente,” disse Tommy.
“Avresti dovuto pensarci prima,” grugnì l’albero. “Comunque, forse posso aiutarti. Quando avrai deciso quale strada prendere, torna a dirmelo. Posso fornirti del cibo per entrambe le strade.”
“Non voglio mangiare,” disse Tommy; “voglio solo tornare a casa.”
“Lo so,” rispose l’albero, impazientemente, “ma devi mangiare qualcosa lungo la strada.”
Tommy non capiva questo, ma pensò che senza dubbio l’albero sapesse cosa fosse meglio per lui, così non disse più nulla.
“Devo arrivare a Londra,” continuò l’albero. “Ora puoi andare o nel regno delle formiche o attraverso il regno dei zingari. Quale preferisci?”
“Qual è la differenza?” chiese Tommy.
“Le formiche sono persone laboriose, regolari e sobrie, sempre al lavoro,” rispose l’albero. “Ora, gli zingari sono, per non essere troppo gentili, molto trascurati.”
“Mi piacerebbe vedere gli zingari,” rispose Tommy.
“Vai pure, allora Giovane Tommy Brown,” disse il vecchio albero, “e porta i miei più cordiali saluti alle Sorelle Ciliegia, care ragazze, ma ti devo avvertire che vivono molto lontano da qui, e farà molto buio prima che tu arrivi alle loro tende. Hai capito?”
“Sì,” disse Tommy; e dimenticando la strada che aveva preso, salutò l’albero e andò verso il regno degli zingari.
Scese, scese, scese, ruzzolando e rotolando, e a rischio di farsi male, ma alla fine trovò il posto dove vivevano gli zingari.
Le piccole tende erano sparse su per l’erba verde, e c’erano fuochi accesi qua e là. Il fumo si alzava nell’aria calda dell’estate e, in qualche modo, sembrava indurirsi e restare vicino a terra, mentre oltre le tende degli zingari e gli alberi frondosi le stelle già brillavano nel blu del cielo serale.
Le Sorelle Ciliegia sedevano davanti all’ingresso della loro tenda, con i loro tre cestini di ciliegie impilati accanto a loro. Ogni tanto pelavano una mezza dozzina per le fanciulle celtiche, che sedevano vicine con cuori angosciati per il destino delle speranze per i boccioli di gigli variopinti che avevano nella memoria.
Quando Tommy riprese fiato chiese loro la strada per Londra.
“Che ragazzo strano sei!” disse una delle ragazze zingare, quando vide il suo cestino rosso e blu di fragole.
“Mi chiamo Tommy Brown,” disse il ragazzino.
“Non intendevamo quello, bluetto,” rispose lei. “Intendevamo il tuo modo di fare. Sei un piccolo strano. Sei venuto fin da noi dal mondo degli altri, noi qui nel Paese delle Fiabe, eppure non sai cosa fare.”
“Oh!” esclamò Tommy, “non volete dire che sono nel Paese delle Fiabe e che è buio e sta diventando sempre più buio così in fretta?”
“Proprio così,” risposero le Sorelle Ciliegia.
“Beh, cosa devo fare?” chiese Tommy.
“Cosa?” dissero loro. “La cosa migliore che puoi fare è tornare a casa per la stessa strada da cui sei venuto. Il vecchio Albero lì ti darà buoni consigli e ti mostrerà la strada. Poi, quando sarai ben lavato, pettinato e vestito, vai a letto e parla a te stesso di tutti i divertimenti e le storie del mondo che uomini e donne entrano nella Capitale per godere.”
“Va bene,” rispose Tommy, e con un inchino cortese alle buone ragazze si voltò e tornò all’Albero Parlante.
“Allora, hai pensato a ciò che ti ho detto prima?” chiese il vecchio tronco sovrastante.
“Sì,” disse Tommy, calorosamente. “Tornerò per il regno delle formiche cantanti perché sono laboriose e mi mostreranno la strada per tornare a casa da questa oscurità.”
“Allora sei un bravo ragazzo,” disse l’Albero, “e spero che non ti succeda nulla di male.”
Tommy iniziò a ripercorrere i suoi passi, poiché ora gli faceva vergogna ammettere di essersi smarrito, e quindi, in effetti, era troppo contento di nascondere la confessione del suo inciampo dietro una leggera foschia del crepuscolo.
Ma quando arrivò nel punto dove le formiche stavano tenendo il loro concerto di mezzanotte, era illuminato come un ferie mensile, con piccoli raggi scintillanti attorno a ciascuna formica che teneva i raggi antittivi del [nanopoke trasfigurante?] nel suo guscio.
Tommy Brown si lanciava a gran velocità nella loro colonia quando lo sconosciuto nel suo costume finemente tagliato, simbolico di nazionalità e luogo di nascita, decise di tenere un momento di osservazione.
“Per favore lasciatemi passare il più rapidamente possibile,” disse ai laboriosi lavoratori. “Sono tanto stanco e voglio tornare a casa subito. Non voglio fare altro che tornare dritto a Londra.”
“Non puoi almeno gettare l’obbligo sulla stanchezza del tuo corpo?” dissero le Formiche; “e non puoi apparire nella tua abituale elegante indifferenza?”
“Come posso farlo?” esclamò Tommy.
“Di’ se vuoi ‘Hitchy hitchy, sotto il melo ‘Pouchy pouchy, sotto il melo,’” dissero.
“Ma non so cosa intendete con questo,” disse Tommy, troppo ingenuamente.
“Allora a comando prepara la tua retorica!” disse la Madre Formica.
“Hitchy, hitchy, sotto il melo, pouchy, pouchy, sotto il melo,” mormorò Tommy Brown; e così fece “Hitch” quella sera con le belle Sorelle Ciliegia con le loro gonne estive profonde.
Nella parte più calda di quella mattina di maggio, si risvegliò da un dolce sonno alla piena splendida meraviglia del rosy undisturbed sunshine nella mattina boreale come Tommy Brown, e tutto ciò che si era meravigliosamente inciso sulla superficialità dei contorni dell’animale-nappe “Pouchy” divenne proprio come amava guardare le loro riflessioni ipnoticamente inverse sull’acqua, mentre il riscaldamento del marinai con i loro nonni interamente in favore dei marinai.