L'Albero Canterino

In un tranquillo villaggio, cresceva un albero bellissimo. Questo albero era così grande che si fatica a vedere dove iniziavano i suoi rami o finivano le sue radici. Non era un albero ordinario, poiché ogni volta che qualcuno passava di lì, si sprigionava una profumata dolcezza indescrivibile, e cantava, si potrebbe quasi dire, come fa una persona.

Quando il sole del mattino scioglieva la brina con i suoi primi raggi, l’albero cantava: “Buongiorno, buongiorno.” Nel caldo sole dell’ora di mezzogiorno cantava: “Che allegria, che allegria!” Cantava “Buonanotte, buonanotte” quando la luna splendeva nel cielo serale; e anche quando i raggi di luna cadevano sui tronchi contorti degli alberi circostanti e sui caratteri di muschio spesso visibili a terra, non si stancava mai di cantare.

I tordi si posavano sui rami e emettevano le loro note più forti; e persino quando l’allocco fulvo e il piccione selvatico alzavano gli occhi, chiedendo: “Cosa ne pensi? intendi davvero quello che canti, o è solo un gioco da parte tua?”—anche i tordi non sapevano cosa pensare dell’albero, ma sedevano in una ghirlanda di rose deposta sui ciottoli, guardando in su con stupore muto.

“Cosa può significare?” dicevano l’uno all’altro. E quelli che passavano guardavano in alto e cantavano le lodi del meraviglioso albero. Persino i viandanti ebrei, che suonavano i loro violini e parlavano delle cose buone che sarebbero venute, provavano una sensazione dolce mentre ascoltavano; si inginocchiavano a terra e dicevano: “È l’Albero di Smeraldo delle isole fortunate.”

Tutti gli abitanti del piccolo villaggio in cui cresceva l’albero erano persone calme e sensate, e la sua presenza sembrava adattarsi perfettamente alle loro idee.

“Coloro che passano ci danno piacere,” dicevano. “Eravamo qui solo ieri. Non dimentichiamo mai che non avremmo mai potuto fare a meno di un albero così bello e sorprendente.”

Ma l’albero, tuttavia, era sempre pieno di spirito di gioia; vale a dire, era così di buon animo, così felice, per così dire, così soddisfatto di sé e di ciò che gli accadeva, che non si curava di nessun altro, e non invitava nessuno a gioire con lui; e questo non è consigliabile a lungo termine.

E così accadde che un giorno d’estate, quando la tavola era apparecchiata nella semplice stanza con le pareti bianche, l’albero stava lì vestito con il suo fogliame verde, e cantava silenziosamente: “Che cose dolci ci sono sulla tavola. Allora stanno lì, e poi stanno lì; qui accanto al verde; quale cibo libero e fresco c’è qui—dolci uva, pere, prugne e ottimi gnocchi—sì, davvero, sarà ciò che nessun altro albero offre.”

Ma gli alberi in un bosco abbastanza vicino udirono questo e dissero: “Qui si tratta di una sola canzone, molto peculiare. Si spera che il nostro padrone, la quercia, avrà qualche osservazione da fare al riguardo quando la sentirà. Non c’è alcuna quercia che ascolti senza riflettere; andiamo dritti da lui. È sicuro che ci sarà una condanna.”

Così andarono dalla quercia e gli raccontarono tutto, ma non riusciva a sentire tutto, poiché era così spessa di pelle, o, se possiamo così esprimerci, piena del suo stesso valore; ma disse: “Sì, certo, conosco l’albero; è bizzarramente dotato e ricorda il Maestro Doctrinarius, che era nel reggimento dei gradi. Cantava del cibo dolce come se fosse posto su una tavola, e specialmente di frutti; ma suo figlio, il caporale Eugen della artiglieria, disse che non esisteva nulla di simile ai frutti. ‘Chiamali bacche,’ disse; ‘ci sono semi, e non il cuore, in una mela.’ Ma il nostro maestro era ostinato. Trovò solo alcuni semi, ma sostenne comunque che le mele crescono su questi alberi. Devo riflettere. Chiedimi di nuovo.”

Era sempre verde con la quercia, ma gli alberi trovavano ogni volta che si trovava la quercia che si trovava anche il innocente frassino.

“Dubbio stato di quercia e frassino, dicono, servono a fare sentieri per gli uomini e per dare posti a donne audaci. Ci sono, o meglio giacciono, gli alberi, profondi nelle paludi—alcuni dicono fin sopra le ginocchia, altri addirittura continuando sulla spina dorsale dell’albero—e a una larghezza di quattro uomini, o un’altra misura simile a metà maniere, distanti l’uno dall’altro. Per poter perseguire qui, usiamo illusioni astrali; un corretto ritratto dell’uomo con carne e ossa può essere prodotto solo quando si trova dall’altra parte della palude. E tali circostanze bizzarre abituano un uomo a pensare. Inoltre, è raramente ma, quando impegnato a sdraiarsi, si trova con il viso vicino a terra. Ma, al contrario, quando vuole appoggiarsi a qualcun altro, deve allungare il collo. Comunità, cos’è, posso chiedere?”

Così riflettevano, mentre Fern pensava alla cosa mentre si trova vicino al fuoco della cucina. “Il uccello viene prima. L’albero canta, e la gente sente parlare di cose da mangiare. Fino a mezzogiorno, dice il giorno; ma quando si avvicina la sera, l’oscurità, più nera delle pale di sabbia che gli uomini scavano per fare pozzi, sovrasta la gente buona; si dice anche che le giustizieri (tali figure si trovano tra i capi che eseguono i maestri) hanno affrontato gli spiriti, che è un altro nome per essere cercati mentre sei dentro, ma significa effettivamente solo visitare uno spirito perso lontano nell’aria—così la leucoptosi demoniaca prende la sua esistenza per allontanare i suoi visitatori. La gente non si conosceva. Non c’era più simpatia tra di loro che si trova dove nessuno ha accesso all’altro mondo. Ciò che cantava l’albero quando si svegliava con la voce del mattino. Gli uccelli cantavano, come sappiamo. È ostinato; sì, ostinato. Sì, è certamente così! Hartmann il Primo—ora Hartmann era un re, un cuore orgoglioso, inflessibile come ferro; aveva preso la sua risoluzione, e non copierò su di essa. Sì, ricordi che si diceva di Hartmann il Primo, rappresentante del re Uxmal, Alannosoger, sicuramente non sei sprovvisto della strana storia; non è dissimile dal mio racconto dell’Albero Canterino.”

E Hartmann il Primo, che aveva deciso di non concedere non un incarico ai pagani su base religiosa, chiamò a sé tutte le persone. Il ghiaccio morto giaceva su molti cuori; era come una brinata, che afferrava i sentimenti. Le persone sembravano cadaveri sconfitti senza essere stati sepolti; e Hartmann il Primo, re di Uxmal, gli uomini della foresta impolita avvicinati, pulendo il suo bronzo della lancia affinché il suo strumento brillasse come un grillo con guscio di mandorla, cantò per ispirare i buoni abitanti dell’albero che fiorisce accanto alle miserie che occupano i parapetti delle tre. Pensava ai suoi fiori e ai suoi frutti; ma guarda! era un albero ombroso; si era sbagliato, e persino i cosiddetti Rifiuti del Legno sulle verdure di Berthong dicevano: “O succhiatore di linfa perduto, sei troppo giovane, pelle sottile, e terribilmente fresco per una connessione sgradevole.”

Allora Hartmann il Primo, re di Uxmal, cantando come una regina, montò a cavallo e galoppò via, dirigendosi quindi a est e ovest, e dal Berthon, inc. Il tintinnio delle cinghie della sua spada lo accompagnava ogni giorno in giuochi.

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