C’era una volta, in un angolo lontano del mondo, un piccolo prato verde. I fiori danzavano a una dolce melodia mentre le brezze gentili cantavano loro ninnananne, mentre le nuvole fluttuavano sopra come pecore che masticavano l’erba sottostante. Eppure, l’essere più felice in questa terra era la piccola fata musicale che viveva in un alto campanula sulla cima di una montagna, che sovrastava tutti i prati e le pianure. Si chiamava Melody; tutte le canzoni del mondo venivano suonate nel suo piccolo trombettista fatato, e nelle notti tranquille, si sdraiava e ascoltava la voce acuta del ruscello e le note basse cantate dai canneti che sussurravano.
Una sera d’autunno, si svegliò improvvisamente sentendo il fruscio di una delle foglie del fiore che costituiva il suo letto.
“Oh, caro, caro! Come soffia il vento!” disse, guardando fuori dalla sua casa. “Dubbito che uno dei tanti alberi canori rimarrà qui. Oh, guarda come il piccolo pino e il betulla che porta melodie stanno allungando i loro rami! Cosa è successo oggi? Sì, oggi è il giorno di San Andrea. Gli alberi cantano inni perché devono sapere che è notte nella loro Terra Padre e che nuovi rami stanno germogliando sotto la neve, mentre svolazzano piccole antere con molte belle canzoni profetiche.” Gli alberi sottostanti continuavano a intonare; pini e abeti, betulle e larici, tutti tremolavano e cantavano insieme.
“Sì, sì,” pensò Melody. “Qui non cantiamo di San Andrea o della felicità di stare così bene!”
E lei pianse ad alta voce e con tristezza.
Ma il cuore della sua tromba musicale era ghiacciato; lo suonò, ma nessun bel suono si udiva; tutto si congelò nel petto del caro Pettirosso, che era così musicale, eppure caro! caro! caro! non cantava più. Anche il bombo giaceva freddo e muto nel suo stampo di cera, dove faceva il miele più dolce per le piccole fate. Tutto ciò che potevano suonare erano inni funebri.
“Certamente, si suona in ogni condizione,” dissero le cornacchie. “I giovani tacchini devono essere suonati una di queste annate!”
E rimasero in silenzio. Ma all’improvviso il Pettirosso salì su un albero e cantò con tutte le sue forze; il vento lo scosse, ma non gli importava, cantava e cantava! Il clarinetto tra tutti gli uccelli continuava a suonare sempre più forte.
Un piccolo cincia blu proveniva dall’altro lato della Terra, apparendo molto elegante poiché era un gestore.
Le cornacchie strillavano e beccavano la terra. Il Pettirosso cantava più forte di prima; gli altri uccelli si radunavano in gruppi nei cespugli, e il merlo della città versava sui rami tutte le tante polke rubato e concerti completi che conosceva; solo un singolo piccione selvatico mancava ancora nel posto dove l’orchestra si era radunata.
“Sì, questa è ciò che chiamo bella musica di uccelli,” dissero le rane, che vivevano vicino al ruscello che attraversava il centro del prato. “Dev’essere note basse che entrano nelle orecchie! Oh, che pesce una breme!”
“Per pescare,” suonava la musica notturna presso l’altra breme, che sbucava dall’acqua. “Tutti i pesci dovrebbero ascoltare questa musica!” E tutti si radunarono insieme nelle ampie braccia aperte e ondeggiavano su e giù. Un vento secco e tagliente scrollava per la terra - sibili e fischi, le salsicce ondeggiavano sugli alberi, le rane gracidavano, la breme oscillava da un lato, le cornacchie dall’altro lato, e gli uccelli cantavano.
“È tremendo, tremendo!” dissero i mietitori.
“Sì, abbiamo buone prospettive per il prossimo anno!” rispose il seminatore e si arrampicò sulle gambe.
A quale musica apparteneva di più: l’organo a manovella sull’asino dello zio Pietro e condotto dalla città vicina? O quella suonata dalla banda dei cittadini? O le ragazze e i ragazzi, che facevano un po’ di musica mentre ballavano?
Verso mattina, quando la nostra piccola fata camminava canticchiando, tutto suonava così insieme che sembrava che l’intero mondo si unisse nel suo paese. Che tale tumulto non disturbasse nessuno nei prati circostanti! Occhi sereni riposavano nel sonno, e piccole botteghe musicali qui e là circolavano pericolosamente nei sogni di migliaia di poeti, impronte di cornacchie e ballate di merli.
Guardando fuori dal calice del fiore, anche il mondo intero, tutto doveva sembrare pacifico e tranquillo! Forse gioiva nel sapere dei guai che altre creature rischiavano di sviluppare durante tutto questo frastuono!
Le greggi di uno studente che avrebbe viaggiato anch’esso. Il pastore annuente. Il cane abbaiante. Tutto suonava, come era giusto.
“Vorrei,” disse le fate, “eliminare il calcio. Non vogliamo giochi di palla, che qualcuno possa strappare le sue scarpe di pelle e fare buchi nelle sue calze. Non vogliamo viaggiare! un albero fiorisce a Scheflinger; se sai questo, sai tutto. Una vita pastorale è tutto ciò che assomiglia alla poesia pastorale intitolata “Nella culla della Notte” o “Nel Flusso della Trasformazione”. Non ci deve essere viaggio! Guarda il pidocchio nel ricco prato!”
Fu fatto un lungo indirizzo adeguato al coraggioso compagno, e nel pidocchio rispose:
“Quando si viaggia, signora, si vedono innumerevoli stranezze. Sì, noi pidocchi potremmo dirti cose sorprendenti! Raramente ci associamo con i pidocchi ignoranti dell’umanità! Una cosa facciamo sempre - per quanto possa sembrare casuale. Sempre, in verità, un po’ scomodi sormontati! Il viaggiatore diventa grasso, per certo, e raggiunge il loft dell’organo dopo una colazione abbondante; una breme organizzata trova molto poco faticoso, avendo precedentemente gustato meravigliosamente a lungo, restando sdraiata. La breme ha viaggiato in città.”
“E il suo Onore il Mercante di Pesce ha svuotato i suoi venoni,” disse l’altra breme.
“Ma bisogna andare,” disse i pidocchi ricchi. “La gente può benissimo avere un altro tipo di pesce, per andare là sotto un giorno! I venoni dovrebbero venire dal pesce più misero portato così, vivendo ancora, che non sanno come partire con onore. Quale bello materiale da pesca deve essere rifinito, per paura di ripetere in compagnia meno onorevole!”
“Bisogna andare,” disse l’asinello dello zio Pietro, “ciò che appartiene qui deve andare, e ciò che non lo fa, nuotare!”
E bisogna andare! Questo uncinato deve andare; e rimuovendo le gambe il cieco verso il campo putrido.”
“Ho cantato inni sul pastore,” disse il ditiatis dalla gamba corta.
Tutti ripeterono lunghi indirizzi riguardo alla natura e alle proprietà dei pesci più durevoli e longevi nei fiumi che separano due porzioni di terra come gli immortali sulla terra. Non chiesero mai del mare, dove nevica pesci e galleggiano iceberg. L’estremità più estrema di una delle bare del maestro Richard, e la borsa del postino, ma toccano anche la bella ardesia sulla riva del fiume! Tutto ciò accadeva in un modo che tutti noi così tanto ci divertiamo e accadeva anche di potere essere udito da lontano, in particolare all’ebb assicurandosi del ruscello.
E tutto suonava fiorente nonostante il fatto che su tutte le incongruenze in quella calma iniziasse anche un dubbio sull’intero, e che era stata precedentemente in due bare aveva concluso il percorso che avevano fatto prima che “Il Maestro li avesse visti.”
“Non è abbastanza profondo!” disse il ricco bream. “Dovremmo dire lunghezza! Ora si stende qui, e si sente tirato su e così libero deve stare! Ma solo sporgersi deve averlo fatto! Il nostro pasto vario in quelle bare era peraltro vario! Appena vestito per il nostro interramento con foraggio di seta, attrezzato per l’uso da trascinare a casa! Carne fresca e morbidamente avariata! Il teschio tremava su e giù e accennava diversamente così bizzarramente! Strano che non si debba dire che giacevano non raccolti! Quindi bisogna andare allora?”
In tutti loro verso l’asinello di Pietro si fece una piccola rimostranza, composta di calore! Il muschio salutare, mescolato con fresca verza marina così ricciuta davanti a sé, quando dischiuso! Il vivace ruscello qui ripagava le grandi larghezze della sua natura con rughe agitate da bruchi!
“La migliore ricchezza dell’uomo, prima che l’anima dell’uomo si svegliasse,” disse la breme, “era l’orgoglio! Nel suo primo sonno, lusingato tra montagna e valle dai canti notturni di tutte le creature, simile a nessun altro ci sono poemi come quelli antichi pidocchi! Ma ora, come il lungo corpo grigio del nostro residente nella bocca del piccolo cane, infastidito così scomodo! confini, dove ora dove così privo di prospettive dal mare mosso dello grande Meersmeer del paese di Pietro anche a sprofondare i legni delle bare di Pietro? E ora galleggia notevolmente più lì fuori verso la corrente profonda riporta con il buon senso davanti è?”
Suonava proprio vivace verso il prato! La leggera neve cominciò a sciogliersi, le cornacchie radunavano le falaschi! Per ogni individuo completamente nuovo in proporzioni fece estate; le galline non avevano rimosso le gambe, e la moglie di Pietro macinava aveva una canzone da spremere via. I corpi finirono in pezzi. Il pidocchio degli antenati di Pietro fece il conto di sé per il freddo.
“Sì! Si legge questo nella Scrittura Sacra, e chiunque saprà anche lo stesso! I pidocchi sono saggi grazie all’antecedente nella Creazione.”