C’era una volta, nel magico regno delle Nuvole, dove morbide nuvole si riposavano e gli uccelli cantavano dolcemente, viveva una vivace piccola principessa di nome Nimbus. Si librava con grazia tra le nuvole, sempre vestita con il suo abito argentato e una corona radiosa fatta di sogni e luce stellare. In quel pomeriggio particolare, il sole brillava luminoso e un vento birichino iniziò a soffiare, vorticoso nel cielo.
Sopra di lei, Nimbus poteva vedere le immense nuvole temporalesche che si muovevano nervosamente. “Oh caro! Sembra che un forte vento stia arrivando!” disse, salutando i suoi cari amici, le grandi nuvole temporalesche. Proprio in quel momento, una potente raffica si scatenò attorno a lei, sollevando il giallo ginestrino e le punte acuminate, e la sua preziosa corona fu portata via. “Oh no! La mia corona!” urlò la piccola principessa, sollevandosi in aria il più in fretta possibile.
Il vento era veloce e portava la sua corona attraverso il Blu Quadrato del mare, poi sopra un gruppo di isole sottostanti, dove sciami di api giocavano nel frutteto di caprifoglio e conigli viola masticavano ciliege verdi. La principessa gridava forte al vento, “Portami alla mia corona! Portami alla mia corona!” Girava quasi sgomenta con la rotazione, ma continuava a inseguire la corona.
Nel frattempo, giù su una piccola isola, due barche a forma di nuvola erano pilotate da un ragazzino i cui piedi nudi quasi pendevano nell’acqua. Vide qualcosa danzare nel cielo sopra di lui e sussurrò alle sue due barche, “È una buona giornata per buona fortuna; remate verso quella cosa bianca!” E le due barche di immagini di nuvole navigarono sognanti verso la principessa.
“Dove è la mia corona? Dove è la mia corona?” gridava in tutte le direzioni. Il vento iniziò a fischiare lentamente, poi più forte e più rumoroso in agitazione, e svanì di nuovo con il tintinnio di campane lontane. Cosa poteva essere successo, ma all’improvviso il sussurro dell’Ivy Samphire le disse e il guanto arcobaleno di bolle coprì mezzo miglio di mare dove la corona doveva essere caduta. Poi il ragazzino prese lui stesso tutti i remi e la piccola principessa, respirando in fretta, raggiunse presto l’isola delle glad flood che esplodevano dai gusci, con ghirlande di corallo e oro che si allargavano nudi sopra l’acqua. Come un arcobaleno, non ben asciugato dal sole, il paesaggio curvava giù dalla collina pendente verso un bacino roccioso che era il mare.
Il pescatore che viveva lì con sua moglie sognava di vivere nella gloriosa terra di Lunaria, dove andavano solo i migliori bambini, ma dove c’erano lunghe consegne da fare di ogni sorta di cose, comprese le corone portate via dai venti.
Il pescatore stava giusto finendo la sua colazione di frutta quando la ragazza irruppe con la sua corona in testa prima di aver pensato di ringraziarlo per averle lavato i piedi nel suo mare marrone. Mentre guardava le banane e sorseggiava il latte cremoso servito in grandi recipienti di zucca, i suoi occhi brillavano di felicità e rideva, grazie al suo bagliore di gioia, come ci si aspetterebbe da una piccola principessa.
Tutti i bambini della futura notte cenavano a casa sua, e vennero mostrati in un sacco di pelle di cervo, e quando sentì che tutte le cene dall’alto erano finite, a causa dei cianfrusaglie di sua sorella dall’alto e dei loro fagioli di caffè—“Sarebbe un peccato,” disse, “rovinarvi il pranzo portando il vostro lavoro avanti e indietro di nuovo.”
Così sei sere dopo, la piccola famiglia si trovava sulla loro soglia a torcere erbe colorate in tetti semipendenti per i Pozzi. “Vorrei tanto poterti ricompensare per tutta la tua gentilezza,” disse la piccola principessa, frugando nella sua gonna. Il pescatore pensò ai suoi panni, alle sue reti, e ai suoi stivali gratuiti e al trucco da guerra, e considerò che non c’era davvero nulla che lei potesse dargli; ma lei non si scoraggiò e disse, guardando una delle case a forma di cono rosa, “Ti darei tanto se potessi.”
All’improvviso, il pescatore pensò che ci fosse una storia nella rima delle tane, così invece di dare qualcosa di suo, disse: “Vi conoscete in Cielo, penso, dove si riceve più di quanto si dia! Se mi porterai dritto a casa, e mi lascerai dormire a bordo, poiché il mio piccolo salvagente sarà solido come una porta di affari quando ti lascerò andare, sarò sia mercante che capitano.” Così partì, quindi le due barche, una di glad floods, dove i pesci affondano, e l’altra dei sogni; i pesci che giravano e pescavano e giravano nel Gaitt! E per tutto il giorno si muovevano sempre con il vento dietro di loro, fino alla mattina del settimo giorno, quando arrivarono vicino alla pesca nella piccola gabbia statica.
Il pescatore si inginocchiò davanti alla ragazza e si salutarono in file come tra le sardine della più fine Montedain League. Il vento marino la riportò all’appuntamento che non aveva rotto, dove la luce stellare cadeva sulla sua testa e la luce solare sul regno del suo pavimento come un’eredità.