In un tempo ormai dimenticato dall’uomo, esisteva un drago magico di nome Jade. Mi trovavo in cima alle vette delle montagne mistiche, con solo la neve e le nuvole a farmi compagnia. Le mie scaglie brillavano come smeraldi, conosciute in tutte le terre per la loro bellezza, ma avevo un tesoro che tenevo segreto a tutti: un gioiello che giaceva sulla mia fronte, un cugino della luna, una goccia di sole caduta per caso. Nessuno sapeva cosa potesse fare, tranne me, e desideravo mantenerlo così.
Ahimè, non sono sempre stata un drago! Una volta ero una comune fanciulla cinese, dolce e gentile, tutta arrossita come l’alba, ma di me non si pensava molto. Gradualmente, la mia bontà e bellezza svanirono, e tutti sappiamo di cosa sono fatte le cuore delle donne; solo un po’ di dolore, trattato con amore, può tenerle fresche e pure. Ma il mio cuore si trasformò in pietra, e lasciai il mondo dietro di me, morendo dei suoi bronci e sorrisi, per rinascere drago.
Ma ero sola. Scrutavo oltre i miei crinali ghiacciati, giù nei verdi valloni, dove i raggi del sole dormivano tra gli alberi, ma una compagnia simile era noiosa. Sentivo gli echi rispondere al gocciolio delle piogge estive. ‘Una foglia di rosa selvatica,’ gridai, ‘dove sono andati?’
‘Ridendo allegramente, il coraggioso Williams, il cavaliere che il Re aveva inviato per conquistare colline e valli, stava nella sua corte del castello ridendo di cinque grandi feriti che giacevano sulla paglia.
‘Dove sta il divertimento?’ chiese una dama entrando attraverso le porte di pietra. ‘Sono uomini!’
‘Ma sono soldati!’ rispose lui.
‘È così,’ sorrise lei.
‘Hanno combattuto,’ spiegò lui, ‘come uomini coraggiosi e sono stati scacciati da nemici altrettanto valorosi; cinque contro uno, coraggiosamente hanno combattuto! Che gioia se il loro generale fosse stato con loro, non li avrebbe spinti avanti, e avrebbe cambiato il corso della battaglia all’ultimo?’
‘Quanto è vuota la tua risata!’ sospirò lei.
Proprio in quel momento, un uccello emerse da un cespuglio vicino. Era uno di quegli uccelli dalle ali brillanti che arrivano dal sud in grandi gruppi, cercando diligentemente cibo, e ritornano in autunno. Il suo canto era lamentoso, come se anche lui avesse perso un amico.
‘Oh, compagno sofferente!’ disse il cavaliere, atterrando a sua volta. ‘Dì, se n’è andato già?’
Ma gli uccelli rimasero in silenzio.
Quella luminosa giornata solare volgeva verso il crepuscolo, ma i cortigiani del cavaliere chiedevano più racconti di antiche battaglie da ascoltare, anche se gli uccelli avevano smesso di cantare e stormi di farfalle si erano riposati tra i cespugli. Proprio sbirciando sotto le foglie, tra la luce che svaniva, formavano un riflesso di fuoco sulla parete di argilla, illuminata da luminosi lampi di narciso. Era come i primi narcisi che sbucano attraverso il terreno pallido in inverno, promettendo la primavera a venire.
‘Sfoderate le vostre spade,’ gridò lui, ‘e che Dio prosperi le nostre armi!’ Lampi di spade brillanti illuminavano il giorno morente.
All’alba, cinque uccelli stavano guardando attraverso le finestre grigie sopra le merlature.
‘Le nostre menti possono deridere i nostri sensi. Ma è possibile che gli uccelli che dormono pacificamente sulla paglia possano indurirsi e diventare insensibili all’alba e appesantire l’aria con la rugiada?’ disse il ragazzo del castello.
‘Calmati, buon scudiero; sono morti o feriti! Convoca una Messa votiva in onore della nostra Signora,’ disse la dama, ‘sento un improvviso brivido attraversare ogni vena.’
Man mano che la luce del giorno emergeva dall’ombra della valle nebbiosa, e si spandeva sulle vette di granito, i muri di pietra sollevavano le loro superfici nere dalle nebbie. Cinque robusti combattenti sorridevano come sempre, ma tutti più o meno feriti; e uno con un orecchio gravemente gonfio non poteva fare altro che sorridere.
Non erano combattenti. Passò un’ora mentre l’uomo d’armi porgeva ai suoi compagni piatti contenenti i frutti più rari che il severo gelo aveva catturato intatti nei boschi. Ma chiacchierando, quasi non notarono gli affamati, sorridenti, mezzi morti uccelli che strappavano la paglia nel cortile.
Ascoltando le risposte degli armadietti carichi di rugiada, il devoto paggio scoprì che le dame stavano lavorando a maglia guanti e calze per il cavaliere che combatteva nei boschi. ‘Saranno finiti domani,’ ripeté allo scudiero e partì per riscaldare le pantofole del suo padrone.
Il giorno seguente l’ennesimo combattimento, sotto la bandiera rossa e bianca di San Giorgio, si alzò improvvisamente; e tutti e quattro gli uomini erano, data la situazione, eccellenti cavalieri; tutto sembrava promettente! Eppure una battaglia precedente in basso aveva già messo al tappeto quattro cavalieri.
Tra la paglia nel cortile risuonavano grida di gioia tra i dipendenti. ‘Tutti i prigionieri del re,’ dissero i cavalieri, ‘scudieri, che combattono come buoni cavalieri e a tutti gli anni sotto la bandiera del nemico! Rispetto per il valore ha ispirato l’amnistia da sola.’
Gli incontri tranquilli della giornata furono indefinitamente prolungati.
Nel frattempo, gli uccelli che riacquisivano la salute per combattere di nuovo si irrigidirono nella loro gabbia di paglia, riposando alternativamente sulle spalle degli altri o seguendo le aperture delle scatole a latticina.
Furono lasciati vagare sopra il castello al caldo sole, ma l’importanza dei loro diritti oltraggiati li teneva in silenzio: assenti un momento, quattro sempre lo erano, inviando il quinto a negoziare i termini di un congresso; poi le manifestazioni generali dagli altri erano sempre benevole.
Ogni cavaliere pianificò un’escursione per i felici, speranzosi prigionieri, danneggiati nel corpo e nella mente.
Le dame difesero nobilmante le rispettive armi.
Giorni più sereni portarono pensieri strani a me stessa. Quattro uccelli indignati sfidarono le nostre sfide. Ci scontravano così agli occhi del mondo. Eravamo tutti in disputa; gli uccelli meno di noi. Un giorno mi sentii di cattivo umore e stavo per vendere i miei gioielli, quando giù, nel piena fioritura del rockore, le dame ospiti, scivolando in bianchi veli, consegnarono inoffensive buste d’oro, e rose bianche e rosse in folla.
Stampano in bellissime lettere il titolo di questo Bibelot.
Sono in vendita, mio gioiello, un atto di diritto civile che serve allo scopo!
‘Cosa diresti?’ sentii una dama chiedere.
Rispose: ‘I miei uccelli ed io siamo sempre stati insieme; e anche quando eravamo fermi tutti con abbondanza di paglia in cui combattere, amavamo chiacchierare in giro–lusinghieri o arrabbiati, entrambi molto intrattenuti! Ma la nostra compagnia, sebbene fosse di una municipalità ben considerata, non è abbastanza forte nemmeno per divertire una tigre; la quale tornò a casa da cena piuttosto desolata.’