Tanto tempo fa, in una splendida giornata d’estate, mi trovavo alla porta del mio palazzo, guardando il mare, dove le onde schiumavano contro le rocce che costeggiavano la riva. Era tutto molto bello, eppure non ero felice, e non riuscivo a capire il perché.
Mi allontanai e andai nella mia stanza. Sulla mensola del camino, sopra il fuoco, c’era un grande vaso di rose. Questo vaso era lavorato con delicati motivi di uccelli e fiori; era così grande che potevo facilmente entrarci dentro, così mi arrampicai e mi sistemai tra le rose che crescevano lì. Eppure i morbidi petali non mi confortavano; il mio cuore era pesante, e i miei occhi e labbra tremavano in un’espressione di disappunto.
All’improvviso, vidi nel specchio che era di fronte a dove sedevo. Diedi un’occhiata indietro e vidi la mia fata guardiana fluttuare nell’aria dietro la mia sedia. Era vestita, come al solito, di un grigio argento, con una corona dorata incastonata di gemme sulla testa questa volta.
“Ah, Principessa Bella,” disse, “non pensi che, ora che mi vedi, sia tempo di smettere di fare quella faccia desolata?”
“Sanish,” risposi, singhiozzando.
“Il tuo orgoglioso castello non tremerà e vacillerà ad ogni soffio di vento?”
“Che bene me ne farà,” risposi. “Ma puoi facilmente farmi uscire se vuoi.”
Si avvicinò, ma invece di afferrare il mio braccio, mi prese per un dito e mi sollevò con cautela fuori dal vaso. Poi, con un solo colpo della sua bacchetta, stese un enorme tappeto di fiori intorno alla casa, e danzò e ruotò così in fretta che divenne fumo bianco e scomparve del tutto.
Ma come, non lo sapevo, il mio castello volò via anche lui nell’aria; per qualche via senza dire, salimmo, salimmo. Qualcosa, in verità, mi spaventò un po’ per un momento, ma non durò a lungo, perché la mia casa oscillava così dolcemente che mi sentivo al sicuro e calda come se fossi sdraiata nel mio nido su un morbido letto.
Immagina una grande casa pesante che è viva e può muoversi da sola! Andava avanti, non sapevamo dove. Ah no, non sapeva nemmeno da sola, ma senza dubbio stava andando bene. Stavo in piedi accanto alla porta aperta, sicura di essere la padrona di tutto ciò che c’era nel cielo così magnificamente chiaro.
Il mio mare era ancora sotto, ma invece di dondolare e ribollire tra le onde, giocando e rincorrendosi, giaceva calmo e composto, senza creste, lontano, molto lontano.
E laggiù, dove l’orizzonte delimitava il mare, mia madre mi disse che la terra iniziava. La morbida nebbia che sempre avvolgeva la terra era scomparsa, e appariva distinta e chiara, così abbagliante e luccicante, con i grandi alberi e i prati tutti verdi e aromatici; i campi irrigati erano punteggiati dalle ali bianche degli uccelli marini che si posavano, come immaginavo, per godersi nient’altro che nuotare; i fiori si raccontavano vicende tramite le lampioni stradali, facendo segnali amichevoli ai castelli, così i castelli risposero e la gente del paese cominciò a sventolare le braccia anche loro.
Allora sentii il trionfo nel mio petto, e chiamai tutti loro a prendersi cura, a darsi un’amichevole compagnia—sì, anche per le grandi persone pompose nei vestiti ricamati d’oro, che sedevano così rigide a volte nel grande carro coperto che saltava sui sassi della strada; e la terra e il mare, entrambi per conto mio e della mia povera torre di guardia muta, si unirono e risposero all’invito. Ma appena il messaggio fu stabilito, il mio cuore affondò e il mio coraggio venne meno, e mi mescolai nel pensoso silenzio della mia casa, dove non mi sarebbe durata a lungo.
Poi si scatenò una tempesta e la casa oscillava e dondolava. Corsii verso le finestre e le porte per chiuderle. Tumulti sorsero nelle stanze e i timorosi servitori si abbracciavano tra di loro e a me; nient’altro che colli sporgenti a proteggermi nelle finestre, e guardando fuori, a destra o a sinistra. Più infuriava la tempesta, più la nostra causa guadagnava e questo, un pensiero mise tanto buon senso, che, se lo guardavo dal punto di vista più accessibile e desideravo davvero il loro vantaggio, sentivo che era così.
La terra svanì lentamente; la tempesta tonante l’aveva spopolata di anime umane, che a malapena erano presenti lì prima; eppure il mio corpo di casa si distese, si diffuse qui, ora molta acqua prese il volo, raccolse alcune pesanti rocce e isole rocciose; e alla fine tutto ciò che si vedeva era l’unica collina verde, sulla quale si trovava la mia dimora come se piacesse scendere.
Allora ci sbattere e dondolare, saltare a destra e a sinistra; lo spazio d’acqua cambiava paesaggio ogni momento, così sembrava, e la collina su cui stava il castello si affacciò a sinistra, verso il paese. Poi oscillammo in arcate giganti nell’acqua, arrivando infine vicini a un’isola verde, completamente avvolta dagli alberi, e adornata con cespugli di nocciolo, che si ergono lì sotto il sole splendente.
“È splendido qui. È da parte nostra che diamo a chi sta per arrivare, ciò che nessuno si aspettava sarà fatto,” disse il mio fidato vecchio.
“Ma che questo orgoglioso castello muoia prima di aver respirato sopra il mare per arrivare all’erba verde,” disse lui.