Jolly la Giraffa era una cosa felice e trascorreva gran parte delle sue giornate sognando. Quando una padrona di casa andava su per una scala adiacente, Jolly la Giraffa allungava lentamente il suo lungo collo verso la porta, desiderando che fosse finito, solo per vedere cosa avrebbe fatto dopo la padrona. Non si era mai, come sua madre aveva previsto, abituato tanto da formare un ponte con il suo collo e molto spesso il suo corpo si sentiva stanco nel tentativo di spiare oltre le colline circostanti.
Ma non era per questo motivo solo che desiderava che accadesse qualcosa. Voleva un’avventura, qualcosa di più emozionante e felice della vita tranquilla che la natura conduceva nel bosco. Pensava che ne avrebbe trovata una, anche a spese dei leoni e delle leopardi che ogni giorno danzavano in compagnia delle sue zie, artigli e tutto, senza farsi alcun male. Così espresse un desiderio di avventura, ma nessuno sapeva come raggiungerla.
Una bella mattina Jolly la Giraffa andò tra le margherite e le farfalle per vedere cosa avessero detto gli uccelli al desiderio di sua madre di sapere dove si sistemavano di notte. Aveva già in mente che risposta darle, quando sua zia, Miss Giraffa, gli si avvicinò saltellando e disse che doveva tornare a casa subito perché un leone era entrato nella foresta e aveva spaventato gli animali. Jolly non ricordava che sua zia avesse parlato in quel modo quando animali molto più grandi vagavano nella pianura cosparsa di fiori davanti alla casa. Ma la natura doveva essere soddisfatta a modo suo, pensò, vedendo che era l’unica cosa rimasta, e quindi accettò con benevolenza la sua strana economia di agricoltura, o piuttosto di caccia—ma i leoni, ecc., giocavano a tip-cat con la foresta unita e trasformavano il giorno in notte con il loro frastuono.
Ma con l’arrivo di un leone, la famiglia di Mr. e Mrs. Hereafter divenne così triste. La padrona era sempre stata una donna di carattere deciso, ma questo nuovo pericolo la spaventava a morte. Si rinchiuse nella sua stanza e non uscì mai.
Un giorno Jolly decise di affrontarlo, e partì per le colline dove era stato visto il leone. Pochi passi lo portarono a una catena di colline, oltre le quali si trovava il regno del leone. Tuttavia nulla di questo lo spaventava. La natura sembrava intatta all’inizio, le margherite e i botticini fiorivano come nel chiaro di luna della foresta; ma lentamente Jolly percepì il cambiamento. L’erba era bianca per le ossa di animali grandi e piccoli, e persino gli alberi crescevano morti per essere stati rosicchiati da grandi zanne affilate. Uccellini paffuti volavano strillando e urlando contro il vento che soffiava e li colpiva ai lati; e Jolly emise un basso gemito, e la sua schiena si irrigidì improvvisamente. Con orrore cominciò a correre, e proprio mentre stava per saltare dal territorio del leone, una voce dietro di lui disse: “Cosa c’è che non va nel tempo?”
Jolly la Giraffa voltò la testa. Una leonessa sedeva tranquillamente masticando la sua cena, mentre con attenzione toglieva con i suoi artigli i resti ossei di un cerbiatto dai suoi denti. Jolly la Giraffa si preparò subito a fare una corsa attraverso le file di margherite e disse in fretta: “Niente di che, gentile signora; brezze leggere oggi, non è niente rispetto a com’era un po’ fa.” E questa tremenda paura dei leoni, da esperienza, riusciva ad abituarsi giorno dopo giorno.
“Oh, è già quell’ora?” rispose la leonessa poco prima di andare a dormire, con uno sbadiglio rassegnato. “Che mondo di preoccupazioni porta questa vita a noi leoni! Non si può nemmeno leggere il grande uomo di tutti i libri, la ‘Vita di Augusto’, senza pensare a quanto sia piacevole e sicura l’esistenza in uno stato di civiltà; che riposo, poi, per le gambe!”
“Uno stato di civiltà?” ripeté Jolly, meravigliato di sentire un’idea del genere dalla memoria delle bestie selvagge con il loro seguito che immediatamente metteva i piedi su un trono e dava liquore alle labbra della madre che li aveva partoriti con tanto peccato.
Ma lei non aveva sentito la sua osservazione. I ricordi della vita selvaggia sembravano aver momentaneamente gettato la leonessa in una letargia. Si sdraiò, e presto cominciò a russare. Jolly la Giraffa fu così colpito da questo racconto della leonessa che dovette sopportare molte altre storie simili dal marito, il cui stato di civiltà e il pacifico regno augusteo esaminò, poiché sembrava molto interessante per lui. E dato che quel leone si addormentò sopra la sua zampa, Jolly la Giraffa fece una visita nuovamente incolume e civilizzata al re e alla regina contenti.
Tutto ciò che era passato, prima dell’arrivo di Jolly la Giraffa, nella camera segreta all’interno delle mura della foresta, lo narrò con incredibile stupore, toccando con delicatezza tutti i particolari che, avendo la loro fondazione nel cuore di Jolly, potevano solo passare sulla sua lingua e trovare ingresso nelle orecchie di sua zia e dello zio attraverso un’unghia di traverso ancora in fase di guarigione. E poi zia e zio lo ringraziarono per la sua ospitalità.
“Oh, che terra sarebbe stata senza di te?” esclamò zia, con lacrime di gioia negli occhi.
“Certo,” disse zio, asciugandosi il collo lucido; “nostro figlio non avrebbe potuto muovere una gamba.”
Poi a Jolly fu chiesto se non si sentisse mai annoiato, essendo l’unico nella foresta. Jolly la Giraffa disse, esplodendo dalla necessità di rispondere a quella domanda, che rendere un leone che veniva giorno dopo giorno a portargli notizie un schiavo felice e benestante, e accudirlo attraverso la turpitudine di zoccoli e unghie che soffriva, era, a guardar bene, almeno altrettanto gioioso e allegro come avere cento leoni e non dover accudire nessuno.
“Non lo intendi! sano e felice?” dissero entrambe le zie.
“Certamente; chiedete ai vostri rispettivi mariti,” rispose Jolly, con amichevole sicurezza. Poco dopo la leonessa apparve dalla stanza segreta dove vivevano le leonesse, e prima che fosse trascorsa mezz’ora, lo zio e la zia di Jolly erano già parenti della leonessa, e i leoni e le leonesse continuavano a gioire per l’esistenza dei loro figli.