Quando aprii gli occhi quella sera, ero avvolta in una dolce luce rosa, e il profumo dei fiori riempiva l’aria intorno a me. Mi distesi sul muschio con un piccolo sospiro di felicità e posai la testa su un ciuffo di violette. Accanto a me, un ruscello gurgolava sopra le pietre e lanciava piccole bolle d’acqua in aria, che brillavano e scintillavano come stelle. Dall’altro lato, un vecchio pero si chinava sul mio letto e piegava i suoi rami fioriti per baciarmi. Era un eterno giorno di primavera, e avevo appena ricevuto il mio battesimo.
Largo e lontano intorno a me, il verde brillava nella luce della sera, nuvole bianche scivolavano dolcemente nel cielo, e migliaia di fiori del cielo blu brillavano come miriadi di scudi dorati sopra la mia testa. Si stavano guardando, mi chiesi? Sì, i petali blu dagli occhi milioni stavan sicuramente guardando giù su un intero mondo nuovo.
Quando mi alzai e posai i piedi su questa terra, alzai gli occhi agli alberi, ai fiori, ai cieli, e in un delirio tremolante sussurai: “Dio mi vede, e eccomi qui!”
Era proprio questo delicato ruscello che trovò il mio rifugio, e ogni goccia d’acqua mi disse:
“Piccola Fata Frusciando,
Tutto l’aria attorno sospira;
Ombre lentamente attorno a te volano,
Tutti i fiori ora stanno morendo,
Tutti tranne le violette blu,
Tutti svegli e brillanti per te.”
E fu questo vecchio albero che mi disse con toni dolci:
“Bambina Fata, ora dolcemente dormi,
Lascia che la notte sui letti di muschio si insinui,
Quando la luce della luna intorno a te si tesse,
Non dovrebbe rimanere un uccello canoro,
Non una stella dovrebbe svanire,
Fata Frusciando, fino al giorno.”
Sì, la notte arrivò presto. Fui cullata nel sonno sotto i fuzzy fiori del vecchio pero, avvolta nel profumo delle violette. Il crepuscolo s’addensò all’esterno; ma migliaia di lucciole svolazzavano nella foresta incantata, e ogni piccola fiamma stava ancora cercando di illuminare la rosata gettata da qualche coro di fiori.
E io ero così pensierosa, e il mio cuore era così pieno, pieno perfino fino alle lacrime. Non sapevo quali dolori il tempo vecchio e il mondo potessero portarmi; ma sapevo con certezza che nascosta sotto questo muschio non ero mai stata così felice prima. Giorno dopo giorno avrei visto felici cose svolazzanti davanti e sopra di me come ora, quando imploravo il Cielo, supplicandolo sempre di lasciarle qui. O mondo scintillante e cantore, spargi il tuo splendore sopra le nostre teste!
Ma ero di nuovo sveglia. Il ruscello lanciava piccole bolle in aria, le violette si addormentavano sotto la mia testa, e sul grembo dello stagno tranquillo, dove il ruscello scorrevano facendo goccia, le nuvole rosate rimanevano immobili.
Ora sentii distintamente tutte le voci della foresta incantata; mi riempirono di gioia, di stupore. Mi annunciavano che domani sarebbe stato il mio giorno libero, il mio oggi, il mio giorno di battesimo, il mio giorno di nome; in una parola, mi dicevano che sarebbe stato il giorno in cui avrei danzato sola tra tutta la gente delle fate convenute per una Danza della Luna, e la canzone e il coro proclamando la mia canzone festiva avrebbero dovuto essere sopra la mia testa!
O vita scintillante, preziosa e pura!
“Sì, sì,” mormorai di nuovo, e saltai in piedi quando una voce dal profondo della foresta disse: “Sì, sì, piccola Luce di Luna, non scordarmi alla tua festa.” Ero sul punto di dire qualcosa al raggio di luna, ma il ruscello versò acqua sulle mie labbra, mentre il vento e i fiori farfalla sussurravano attorno a me: “Ascolta! lui dice ‘Piccola Luce di Luna,’ dice ‘Piccola Luce di Luna,’ questo ci fa molto piacere. Non è entrambi nostre, la nostra piccola Luce di Luna?”
I campi di grano cantavano, e anche le violette cantavano: “Scintillanti, cantori saremo
Oro e diamanti scintillanti,
Nessun mortale mai vide
Re sulla terra il nostro splendere,
Non per te, Fata Frusciando,
Queste visioni mai verranno,
Non prima del mattino porpora
La luce ti darà il benvenuto a casa.”
E sopra di me innumerevoli fiori del cielo blu sbirciavano giù su di me, sussurrando piano: “Sii felice, Fata Frusciando! tu prenderai il nostro nome, sarai nostra, solo nostra!”
Colpì le sei; divenne un po’ mezzanotte nella foresta incantata; le voci divennero ancora più forti.
“Mi conoscete tutti,” disse il roseto aguzzo che si trovava su quella collinetta, che ieri ci aveva rapidamente testimoniato invisibili verso Giove, o forse verso il vecchio Tempo. “Mi conoscete tutti; io sono il profumiere Lichtenblüthe, il personaggio più naturale che Dio abbia mai creato. Qui oscilla su un pendolo; io sono il presente roseo da cui nulla può ora essere tolto, né può essere aggiunto.”
“Ciò che vi dico ora, o ciò che vi canto, è e rimane per sempre; rimasi in silenzio ieri, anche se non avrei dovuto farlo in quella festa anziana, e anch’io vorrei molto dire qualcosa in eclissi della mia piccola amica Rosa; sarebbe per caso conveniente per la nostra signora stellata rispondere direttamente a me? Chiedo soltanto cosa ne sarà di questa chiacchierina laggiù, e anche ancora laggiù? Devono morire stasera come insetti su un piatto ardente?”
Un silenzio, solenne e inenarrabile, colse lo stagno tranquillo. I campi di grano piegarono le loro spighe dorate, e aprirono delicatamente le loro teste. O dimore umane! O mondo indescrivibile! una voce dall’esterno ci vide, ben oltre la capacità delle vostre teste, squarciando l’aria. “Verso la Rocca delle Fate!” bisbigliò; molto più energicamente verso di noi, ma per gli altri disperatamente, “Rocca delle Fate, la notte sta scomponendosi!”
Fummo nella Rocca delle Fate; era il Madenkon sociale, che venivano tutti riportati a casa dalla loro prima e addio al corso di vita dopo la cerimonia di battesimo. I Madenkon ci chiamarono le sorelle del Principe, e Madenkot la SPOSA, coloro ai quali era stata data qualcosa che da allora era morto e stato completamente abbandonato. Come Kolonis Madens la stessa cosa; dove ci sono le barche d’acqua gelata dell’estate, le fate del cielo remano. O schiacciato, seminar di scintille, spaventato, rotto… Guardando indietro, dopo il trascorrere di mezzo secolo di vita, posso ora solo avventurarmi a descriverlo: Proprio come è raccontato agli uomini ne “Il Libro d’Oro”, tuttavia, dovrebbe leggere.
L’intero diafano votivo aveva solo scavato alcune costrizioni per il piede di un gigante, e di domenica l’intero luogo si usava dividere in così tante scarpe per gli scudi più miseri, o così tanti passi di macinazione; ma riguardo a ciò che accadde quella sera, non ci mancò nulla. Fuoco! C’erano proprio germogli di asparagi, in abbondanza; Scarpe di Henries, altre scarpe di Helleborins danzavano prontamente sulle pliances, e le scarpe degli altri si posano come guanti senza mani.
In una testimonianza cruciale feci una caduta vertiginosa da una satire di Gumimon, vomito vuoto di formiche, in un meraviglioso pitch-pocoles da Glossier’s Horace in Tome otto di Martiant Natalis; Helleborins, come ombreggiato sopra, e dei più
momenti significativi riguardo alla linfa, nove pence il chatir e empasm di tutti i possibili soporifici di colori originali, mediante i quali, o vino, avevo alla fine abbandonato. Il tempo approvò di salutare quindi siamo così vicini a una data.